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(ancora) niente

Pubblicato: febbraio 12, 2014 in Uncategorized
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A chi mi chiede cosa stia succedendo in Bosnia in questi giorni, rispondo: (ancora) niente.

Perché, purtroppo, il dramma che gli abitanti di questo Paese vivono dal 1995 (lasciamo i giorni della guerra come il Dramma in senso assoluto, limitiamoci al dopoguerra) sembra riguardare solo loro, abbandonati in una zona grigia sulla mappa dell’Europa (quella della UE), con addosso una costituzione tagliata male, un sistema politico insostenibile economicamente e socialmente e nessuna prospettiva davanti.

Per questo dico: non sta succedendo (ancora) niente.

La gente è veramente furibonda (e questa è una novità, o meglio, non sono più arrabbiati solo nei caffè, fumando la millesima sigaretta, bevendo il quindicesimo caffè e lamentandosi senza ben definire l’oggetto della lamentela, ma stavolta la direzionano ben bene la rabbia), non ha lavoro, non ha soldi, ma soprattutto non ha un futuro.
Ed è scesa seriamente in piazza, spontaneamente, chiamandosi all’appello di città in città. Se già lo scorso anno si era capito che qualcosa si sarebbe potuto fare, con le manifestazioni per il codice fiscale (JMBG), è stavolta in particolare che i politici hanno capito di non essere veramente intoccabili, rassegnando le dimissioni in 4 cantoni.

Ma… qui è il punto. Adesso non c’è (ancora) un’alternativa solida.
Un margine di speranza lo lasciano le assemblee dei cittadini che si stanno formando in questi ultimi due giorni (così detti “plenum”) per portare avanti le richieste ai politici e coordinare le iniziative locali, ma è ancora presto per capire dove si andrà.

Se da una parte oggi non c’è una figura chiave politica che prenda in mano questo malumore e tirandosi tu le mani prenda in carico il fardello di questo Paese, più a monte la difficoltà sta nel fatto che non c’è un Paese. 

Il rischio più grande oggi  è dunque che il malcontento e la protesta si disperdano, oppure degenerino in violenza senza controllo o peggio ancora vengano strumentalizzate (la Repubblica Srpska sta già calcando la mano sul fatto che la protesta sia solo in Federazione,a  dimostrare come loro da soli sarebbero così bravi e starebbero così bene).

Perdere questa occasione di riformare la Bosnia, sarebbe l’ennesima chance sprecata per dare dignità  a questo Paese, d’altra parte resta da chiedersi per quanto tempo la popolazione bosniaca potrà  stare in piazza? Per sempre? Sino a che qualcuno non faccia una riforma costituzionale? Ma chi farà questa riforma?

Questo Stato – il mostro tripartito daytoniano – può lasciare tutto lo spazio possibile alle proteste, ma senza uno governo unitario, per quanto cadano i governi cantonali, si dovrà tornare alle elezioni e ancora rivotare i governi cantonali. E dunque sperperi, nepotismo, corruzione e tasse che finiscono a ingrassare solamente i politici e la loro casta. E di nuovo generando rabbia e ampliando lo stesso problema all’infinito.

E questo perché? Fa comodo una Bosnia che non funziona, nel cuore d’Europa?

Forse l’unica cosa certa che c’è è che la Bosnia, fallimento delle diplomazie internazionali (certo non è che gli autoctoni ai tempi ci abbiano lavorato su così bene, per cercare una soluzione diversa dai bombardamenti), è una patata bollente che nessuno vuole tenere in mano, anche perchè non si sa nemmeno da che parte cominciare.

Da una parte Inzko, l’alto rappresentante attualmente in carica ha ipotizzato l’invio di truppe NATO se la situazione non si pacificherà.
Dall’altra Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera UE, esorta  i leader bosniaci ad ascoltare le richieste del proprio popolo e ad impegnarsi seriamente a far avanzare il Paese con riforme non solo economiche, ma anche politiche. (intervento integrale qua: http://eeas.europa.eu/statements/docs/2014/140211_02_en.pdf)

Gli inglesi sentono puzza di bruciato e il loro ministro degli affari esteri William Hague  twitta allarmato: “Raised #Bosnia protests with EU Foreign Ministers. A wake-up call for us all. We need a new European effort to help Bosnia towards EU & NATO.”

E’ evidente che la sfida vera è cambiare radicalmente l’assetto del Paese, ma oggi non penso sia ancora possibile proporre una Bosnia unita, non perché il popolo non la vorrebbe, ma perché i politici locali (in particolare la compagine banjalukense) non la manderebbero giù tanto bene.

E mica per ragioni nazionaliste, ma semplicemente perché in quanti perderebbero il loro potere e i loro privilegi?

A ben pensarci, rischiamo di vedere centinaia di politichetti in piazza che si lamentano per la disoccupazione.

Meglio lasciare le cose come stanno, per evitare questa terribile crisi sociale che investirebbe il Paese.

Tra le letture consigliate questo articolo: http://www.balkaninsight.com/en/blog/is-change-coming-finally-thoughts-on-the-bosnian-protests

e in generale questa rassegna curata autoctonamente con traduzioni: http://bhprotestfiles.wordpress.com/

in piazza

Pubblicato: febbraio 7, 2014 in Uncategorized
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Dopo le manifestazioni dello scorso anno (in primis la bebolucija) la Bosnia si risveglia in piazza. A Tuzla il 5 febbraio una manifestazione di cittadini esasperati manifesta chiedendo le dimissioni del governo cantonale.

Sono studenti, pensionati, disoccupati, operai prossimi al licenziamento. Le fabbriche chiudono, gli anziani non ricevono le pensioni (che comunque sono indecenti: la minima è di 60 euro), gli studenti non vedono prospettive nel loro paese.
6000 persone in piazza che si sono organizzate attraverso il gruppo Facebook 50000 persone per un futuro migliore e il coordinamento dei sindacati (era ora!).

Ma la casta al potere è sempre lì, i politici di questo Stato disgraziato voluto tripartito dopo la guerra civile degli anni ’90. Nato di corsa a Dayton, con una costituzione che grida vendetta. Governo centrale, Federazione e Repubblica, Cantoni, Comuni… le uniche prospettive di impiego sono lì, sulle poltrone, a portare borse, a leccare culi.

Sei del partito (non importa quale, tanto prima uno, poi l’altro salgono al potere, e i soldi si dividono uguali) hai un lavoro. Non sei del partito? Vai a fare il cameriere in nero, oppure vai in Germania a spaccarti la schiena, oppure resta lì, a fumare e bestemmiare. Jebem ti kruh.

Direttori scolastici che cambiano durante il corso dell’anno perchè ci sono state le elezioni, ministri e funzionari che si scambiano di posto come se fosse il gioco della sedia. Oggi sei in Comune, domani ti ritrovo a servire al bar….

E così, mentre l’Europa tra un report e l’altro non fa altro che segnalare i passi indietro che la Bosnia sta facendo per entrare in Unione, la gente forse – finalmente – speriamo – si è stancata.

E’ l’augurio migliore che mi viene da fare a questo Paese. Ribellarsi. Dire basta al sistema politico attuale, dire basta alle discriminazioni, al nazionalismo, alla sofferenza e alla povertà, non solo economica, ma anche culturale.

E’ vero che un po’ scherzando, un po’ seriamente, si dice: “šuti i trpi” (zitto e soffri) e lo cantano anche i Dubioza Kolektiv un gruppo arrabbiato, che trova le parole giuste per le proteste, ma penso che qui si sia sofferto abbastanza.

Il problema di queste manifestazioni è che iniziano, divampano ma spesso finiscono in niente. Manca un leader, manca un’idea finale da perseguire, ma sopratutto manca il coraggio. Il coraggio di prendersi la responsabilità. Qualcuno che ci metta la faccia ed emerga dalla folla, buona a lagnarsi, ma incapace di fare altro. La paura, quello è, che tiene ancorata questa gente un po’ contadina, alla schiavitù di politici che approfittano di questa condizione.

Quante volte ho visto in questi anni ragazzi, ragazze, condizionati da quello che gli altri avrebbero detto di loro e quindi fermi, terrorizzati, nascosti nel mucchio.

Ecco, cosa. Ecco la Bosnia non è la terra dell’odio come scriveva Andric. E’ la terra della paura e della frustrazione. L’odio è generato dalla rabbia generata dalla frustrazione.

Tornando alla cronaca: a Tuzla (la città più “democratica” della Bosnia) l’altro ieri la polizia e i gruppi speciali in assetto antisommossa hanno caricato la folla. Barricate, gomme bruciate, lacrimogeni, manganelli. Guerriglia urbana. Se da una parte c’erano dei manifestanti che hanno pestato i poliziotti, i poliziotti hanno picchiato e arrestato anche gente pacifica. 27 arresti, multe da 300 marchi, un centinaio di feriti.
La manifestazione è poi andata degenerando perchè la folla ha incendiato una parte del palazzo della TV, dato fuoco a pneumatici e cassonetti, spaccato vetri.

Oggi alle 12 sono previste nuove manifestazioni, anche in altre città, come Sarajevo, Mostar, Bihac, Zenica, Kakanj. I governi invitano al dialogo e alla calma, i sindacalisti hanno paura che le violenze aumentino.
In questo clima agitato, resta sempre un po’ a guardare la RS, come se questo fosse un problema che non li riguarda anche se a Banja Luka sono scesi in piazza in qualche centinaio.

Chissà se sarà il solito incendio, facile a domarsi, o se porterà a quelle modifiche che questo Paese deve fare, per uscire da una situazione di stagnazione e corruzione dilagante da vent’anni, ormai.

Ed è vero che è il popolo stesso che ha in tutti questi anni continuato a votare i suoi governanti – tacendo e soffrendo – ma dopo vent’anni di fumo negli occhi, una situazione insostenibile sta facendo saltare i nervi anche a quelli che sino all’ultimo speravano, votando il cugino dell’amico del compagno, di poter portare a casa qualcosa…

Sostengo la Bosnia in questo momento, sperando in una vera primavera balcanica, ma realisticamente non credo che sia ancora pronta al grande passo che la aspetta, una rivoluzione culturale dopo anni di buio e regimi. Vorrei sbagliarmi.

Le immagini della protesta del 6 febbraio a Tuzla: http://www.6yka.com/novost/50782/tuzla-drugi-dan-haos-na-ulicama-suzavac-premlacivanje-barikade-blokade-foto-i-video

e un manifestante di bihac che spiega chiaramente il concetto del nepotismo in bosnia: “chiedit, perchè non fanno mai sesso tra loro nelle aziende statali? ma perchè sono tutti parenti della stessa famiglia! Comune, Governo, Cantone!”
http://www.avaz.ba/galerije/video/biscanski-demonstrant-zasto-nema-seksa-u-drzavnim-firmama

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