A chi mi chiede cosa stia succedendo in Bosnia in questi giorni, rispondo: (ancora) niente.
Perché, purtroppo, il dramma che gli abitanti di questo Paese vivono dal 1995 (lasciamo i giorni della guerra come il Dramma in senso assoluto, limitiamoci al dopoguerra) sembra riguardare solo loro, abbandonati in una zona grigia sulla mappa dell’Europa (quella della UE), con addosso una costituzione tagliata male, un sistema politico insostenibile economicamente e socialmente e nessuna prospettiva davanti.
Per questo dico: non sta succedendo (ancora) niente.
La gente è veramente furibonda (e questa è una novità, o meglio, non sono più arrabbiati solo nei caffè, fumando la millesima sigaretta, bevendo il quindicesimo caffè e lamentandosi senza ben definire l’oggetto della lamentela, ma stavolta la direzionano ben bene la rabbia), non ha lavoro, non ha soldi, ma soprattutto non ha un futuro.
Ed è scesa seriamente in piazza, spontaneamente, chiamandosi all’appello di città in città. Se già lo scorso anno si era capito che qualcosa si sarebbe potuto fare, con le manifestazioni per il codice fiscale (JMBG), è stavolta in particolare che i politici hanno capito di non essere veramente intoccabili, rassegnando le dimissioni in 4 cantoni.
Ma… qui è il punto. Adesso non c’è (ancora) un’alternativa solida.
Un margine di speranza lo lasciano le assemblee dei cittadini che si stanno formando in questi ultimi due giorni (così detti “plenum”) per portare avanti le richieste ai politici e coordinare le iniziative locali, ma è ancora presto per capire dove si andrà.
Se da una parte oggi non c’è una figura chiave politica che prenda in mano questo malumore e tirandosi tu le mani prenda in carico il fardello di questo Paese, più a monte la difficoltà sta nel fatto che non c’è un Paese.
Il rischio più grande oggi è dunque che il malcontento e la protesta si disperdano, oppure degenerino in violenza senza controllo o peggio ancora vengano strumentalizzate (la Repubblica Srpska sta già calcando la mano sul fatto che la protesta sia solo in Federazione,a dimostrare come loro da soli sarebbero così bravi e starebbero così bene).
Perdere questa occasione di riformare la Bosnia, sarebbe l’ennesima chance sprecata per dare dignità a questo Paese, d’altra parte resta da chiedersi per quanto tempo la popolazione bosniaca potrà stare in piazza? Per sempre? Sino a che qualcuno non faccia una riforma costituzionale? Ma chi farà questa riforma?
Questo Stato – il mostro tripartito daytoniano – può lasciare tutto lo spazio possibile alle proteste, ma senza uno governo unitario, per quanto cadano i governi cantonali, si dovrà tornare alle elezioni e ancora rivotare i governi cantonali. E dunque sperperi, nepotismo, corruzione e tasse che finiscono a ingrassare solamente i politici e la loro casta. E di nuovo generando rabbia e ampliando lo stesso problema all’infinito.
E questo perché? Fa comodo una Bosnia che non funziona, nel cuore d’Europa?
Forse l’unica cosa certa che c’è è che la Bosnia, fallimento delle diplomazie internazionali (certo non è che gli autoctoni ai tempi ci abbiano lavorato su così bene, per cercare una soluzione diversa dai bombardamenti), è una patata bollente che nessuno vuole tenere in mano, anche perchè non si sa nemmeno da che parte cominciare.
Da una parte Inzko, l’alto rappresentante attualmente in carica ha ipotizzato l’invio di truppe NATO se la situazione non si pacificherà.
Dall’altra Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera UE, esorta i leader bosniaci ad ascoltare le richieste del proprio popolo e ad impegnarsi seriamente a far avanzare il Paese con riforme non solo economiche, ma anche politiche. (intervento integrale qua: http://eeas.europa.eu/statements/docs/2014/140211_02_en.pdf)
Gli inglesi sentono puzza di bruciato e il loro ministro degli affari esteri William Hague twitta allarmato: “Raised #Bosnia protests with EU Foreign Ministers. A wake-up call for us all. We need a new European effort to help Bosnia towards EU & NATO.”
E’ evidente che la sfida vera è cambiare radicalmente l’assetto del Paese, ma oggi non penso sia ancora possibile proporre una Bosnia unita, non perché il popolo non la vorrebbe, ma perché i politici locali (in particolare la compagine banjalukense) non la manderebbero giù tanto bene.
E mica per ragioni nazionaliste, ma semplicemente perché in quanti perderebbero il loro potere e i loro privilegi?
A ben pensarci, rischiamo di vedere centinaia di politichetti in piazza che si lamentano per la disoccupazione.
Meglio lasciare le cose come stanno, per evitare questa terribile crisi sociale che investirebbe il Paese.
Tra le letture consigliate questo articolo: http://www.balkaninsight.com/en/blog/is-change-coming-finally-thoughts-on-the-bosnian-protests
e in generale questa rassegna curata autoctonamente con traduzioni: http://bhprotestfiles.wordpress.com/