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Pochi giorni fa ci trovavamo a Sarajevo, insieme a 40 dei contadini coinvolti nel progetto lamponi.

La partenza alla 4 di mattina su un torpedone scassato non ha spaventato i partecipanti, che anzi, erano ben felici di fare una di quelle belle gite come ai vecchi tempi.

L’atmosfera era veramente jugo, gente da diversi comuni, cevapi e cocacola distribuiti alle 5 di mattina, la musica turbo folk su questo bus color arancione di altri tempi, l’aria condizionata che andava al contrario e quindi la mattina con fuori 5 gradi eravamo tutti surgelati perché invece del riscaldamento andava il condizionatore e viceversa alle 4 con fuori 30 gradi noi avevamo il riscaldamento acceso. In tutto ciò l’autista era tornato da Sarajevo il giorno prima (la notte stessa a mezzanotte!) aveva dormito due ore, bevuto non si sa quante red bull e rimesso in moto….Ottime premesse insomma! Sette ore ad andare e sette a tornare nel casino più totale!

Molti dei partecipanti non andavano a Sarajevo da anni e alcuni non ci erano proprio mai stati. E’ vero, il programma è stato da folli, del tipo sveglia all’alba come già detto, arrivo a Ilidza, visita dei frutteti sperimentali per un paio d’ore e poi via, fuga in Bascarsija per 45 minuti, altra tappa su strade del piffero a vedere mirtilli e indietro verso Bihac…… Personalmente ero in coma, ma la gente era tutta contenta di questa opportunità, che è stata effettivamente l’occasione per molti di loro di vedere il loro stesso Paese. Tra un colpo di sonno e l’altro sentivo commenti stupiti e orgogliosi, passando vicino al lago Pliva, del tipo: ma anche questo è il nostro Stato? Oppure: ma quanto verde che abbiamo!

Lo spunto di riflessione più ampio mi è stato dato dal momento di formazione che abbiamo avuto con un professore di Agraria di Sarajevo, che spiegava ai produttori gli standard richiesti in Europa per la frutta e la verdura.

E mostrava queste foto di mele tutte uguali, tutte lucide, tutte tonde….e al confronto le meline tocche, bacate, col verme dei contadini bosniaci.

E diceva: mettetegli su un po’ di trucco, e ve le pagano 3,5€.

Da cittadina dell’Unione Europea, mi sono veramente intristita.

Era una sensazione strana, come se mi sentissi quasi in imbarazzo, un po’ snob ecco. Una di quelle scene da film in cui si vede il povero contadino vestito a suo dire in maniera elegante, presentarsi alla festa della superstronza ricca che non si fa mancare l’occasione di prendere in giro il morto di fame anche un po’ ignorante.

Le nostre mele snob, lucide, tonde e grandi (dal sapore di niente per lo più) additavano le meline bacate bosniache e commentavano a bassa voce tra loro quanto erano bruttine, misere  e poverelle. E le meline bacate nella loro onesta semplicità si sentivano fuori luogo, senza la forza di reagire ai commenti delle supermele palestrate e col lifting.

Mi sono intristita anche perché so che le meline che mangio qua sono più buone di quelle che mangio in Italia. Perché so che qua i pomodori sanno di pomodoro anche se sono brutti. Che sì l’insalata ne butti la metà e che ci sono anche dentro le lumache, ma viene dal campo appena fuori Bihac.

E mi sono chiesta che Europa sia la nostra, che non apprezza le differenze, che non vuole le mele diverse: quella storta, quella grande, quella piccola, quella screziata, quella un po’ tocca, ma che le vuole tutte uguali ‘ste cazzo di mele e che le omologa e che ha un calibro e che guarda il colore, la forma, ma non il sapore e la sostanza.

Che Europa è quella che tiene fuori le meline un po’ stortignaccole, ma che ha dentro di sé le mele marce?

Che Europa è quella che vent’anni fa non ha saputo proteggere la bellezza delle differenze, che non ha saputo cogliere il valore della coesistenza e che ha permesso che la polveriera esplodesse nel suo cuore, cioè la Bosnia Erzegovina multiculturale, quel triangolo spigoloso, pieno di meline storte, ma così saporite?

Dove va questa Europa omologata, tutta lucida e truccata?

E mi vengono in mente le parole della canzone di Paolini e dei Mercanti di liquore riferite alla nostra Italia….

Avrei voluto dirle che avevo nostalgia dei tempi in cui godevo della sua compagnia, insomma la trovavo bella, davvero seducente e che anche se lontano ero pur sempre un suo parente.

Lei mi ha guardato come si guardano i bambini, mi ha chiesto se sapevo dov’erano i grissini, vedendomi perplesso di scatto s’è voltata e in men che non si dica l’Italia se n’è andata…

Italia antico amore hai perso l’allegria e forse non ricordi l’antica cortesia, ebbene sì lo ammetto ci son rimasto male – che diamine, potevi almeno salutare!

Però malgrado tutto, ti voglio ancora bene

qualcosa di me stesso ancora ti appartiene,

ti piace far la stronza e farmi disperare,

ma so che un giorno o l’altro ti rivedrò ballare…