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La Tempesta

Pubblicato: aprile 20, 2011 in Uncategorized
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Parlar di tempeste in questi posti, non significa parlare né di Shakespeare, né di maltempo.

Significa tornare all’estate del 1995, quando un’operazione guidata dalle forze croate insieme a quelle bosgnacche ha “permesso” di riprendersi, nel giro di poche settimane, gran parte di ciò  che che i precedenti anni di guerra avevano saldamente lasciato nelle mani dei serbi…

La zona nella quale si è combattuta la Tempesta (Oluja) sono le cosidette Krajine, ovvero le zone militarizzate create durante il periodo della “gestione” austro-ungarica del Paese (parliamo dalla metà del 1500 e oltre) a difesa dei confini sacri dell’Impero Cristiano. E quindi queste zone vennero popolate con serbi in fuga dall’avanzata ottomana che lì si stanziarono in mezzo ai lupi, con l’incarico di difendere i confini dall’avanzata della mezzaluna…Insomma, garbugli balcanici di secoli fa, in terre di pietre e animali selvatici. Roba che a un occidentale, non gli piace tanto e fa pure fatica…

Per semplificare, diciamo che le cose qua andavano in un certo modo da secoli, sino a quando a qualcuno non gli è venuto il ghiribizzo di ritirare fuori storie vecchie (per nascondere i proprio interessi) e pensar bene di lavare il sangue col sangue.

Ad ogni modo altri prima e meglio di me han già raccontato queste storie e sopratutto ognuno ha la sua versione dei fatti, meglio non immischiarsi troppo…

E tant’è torniamo alla storia che vi volevo raccontare. Come dicevo sopra l’operazione Oluja riprese i territori perduti, spazzando via come una tempesta estiva tutto quello che c’era sulla propria strada, a partire dai poveracci che non avevano voluto prendere su le proprie misere cose da contadini e avevan deciso di restare (vecchierelli innocui per lo più, trovati sgozzati nelle proprie case bruciate, dopo la tempesta).

La tempesta al  proprio passaggio ha fatto in modo che nessuno poi potesse ritornare troppo facilmente nelle zone in cui aveva vissuto per secoli la propria famiglia. E quindi trafile di case bruciate, senza tetto, in mezzo a campi incolti e sopratutto minati.

In una delle mie prime gite fuori porta, mi son spinta appena fuori Bihac andando verso il confine croato, nel villaggio di Lohovo. Oggi questo posto praticamente è diviso a metà, da una parte ci sono le nuove ville dei ricchi, le Vikendice (case del week end), che han comprato per poco (o hanno direttamente espropriato) le case di chi lì non sarebbe mai più rientrato. Dall’altra parte, misere case bruciacchiate e annerite.

Il tardo pomeriggio di ieri è stato dedicato all’apprendimento del cuocere la grappa di mele, all’interno di una stalla bruciata. Stalla che era di Branko e di Mira, due vecchietti che ora vivono a Gradiska, ma che nella bella stagione si trasferiscono in una casetta di mattoni completamente vuota, ricostruita con le donazioni esattamente di fianco alla vecchia villa di famiglia, che era lì da cent’anni.

I due vecchietti non han mai fatto male a nessuno, così come i loro figli, la loro unica colpa era quella di essere nati lì, e di essere di origine serba.

Come spieghi a una donna che ha perso tutto, e a un uomo che ha perso tutto, che così è la vita, tako je zivot? E c0me la racconti quella rassegnazione, quel muovere le mani, quegli occhi azzurri? Chi sono io, 35 anni, italiana, per dire a un serbo, a un croato a un musulmano: così è la vita? Ma so che quella è la frase, nella loro lingua, che significa qualcosa.

Significa che ciò che è perso, e chi si è perso, non torna, e che non c’è giustizia forse in questa vita, ma che bisogna viverla.

Il pane di Mira era caldo, appena uscito dal forno a legna, e lei si scusava con noi, perchè sarebbe stato più buono se mangiato un po’ più tiepido.

Era il pane più buono che avessi mai mangiato.